Si attribuisce a Charles Darwin la celebre frase “il lavoro nobilita l’uomo”, interpretata da tanti come la convinzione che una professione non dovrebbe avere una funzione meramente produttiva, ma soprattutto morale.
Probabilmente l’avanzamento tecnologico ci ha fatto dimenticare la dimensione del lavoro che Darwin aveva idealizzato.
Tuttavia, i tempi difficili che hanno caratterizzato gli ultimi anni tra crisi economiche e pandemiche, ci ha riportato a ridare importanza anche alla dimensione umana.
Tra l’inflazione che ha messo in ginocchio famiglie e imprese, il COVID-19 che ci ha costretto a trovare un nuovo equilibrio incastrandolo tra le mura di un appartamento, forse ci siamo ricordati che “il lavoro dovrebbe nobilitare l’uomo“.
In particolar modo i più giovani hanno iniziato a soppesare la dimensione del benessere fisico, mentale e sociale a lavoro.
Secondo il Mental Health at Work Report nel 2021 il 68% dei Millennials (50% nel 2019) e l’81% dei Gen Z (75% nel 2019) hanno lasciato il proprio posto di lavoro per ragioni legate al benessere mentale.
Secondo l’osservatorio annuale sul benessere psicologico nelle aziende italiane del 2023, nel nostro Paese più del 50% di chi lascia il proprio posto di lavoro, lo fa per ragioni legate al malessere psicologico.
A delineare un quadro sempre più chiaro è il Work Trend Index di Microsoft del 2022 rivelando che in Italia il 54% dei lavoratori sono più propensi a dare priorità alla salute e al benessere. Anche un breve sondaggio fatto alla nostra community LinkedIn indica la ferma decisione di non voler lasciare che il nostro lavoro “contamini” la nostra vita privata. Quello che succede in ufficio, deve rimanere in ufficio.
La normativa principe in tema salute e sicurezza sul luogo di lavoro in Italia è il D. Lgs. 81/2008 (nota anche come “Testo Unico”) che definisce la “salute” come “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza di malattia o d’infermità”.
Obbligo non delegabile del datore di lavoro, secondo quanto recita l’articolo 17, è proprio la redazione di una valutazione dei rischi a tutela della salute dei lavoratori.
Anche se il Testo Unico dalla sua prima stesura non lo prevedeva esplicitamente, tra questi rischi è oggi presente anche il cosiddetto rischio da stress lavoro-correlato.
Viene dunque messa in luce una necessità di tutelare il lavoratore non più, come tradizionalmente è stato, solo sulla dimensione fisica della salute, ma anche su quella mentale e sociale.
Inoltre, i Responsabili del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP) devono obbligatoriamente formarsi anche a riconoscere e valutare i rischi da stress lavoro-correlato.
Se le normative delineano in modo chiaro i porti che devono essere obbligatoriamente raggiunti, gli standard tecnici erogati da enti internazionali suggeriscono le rotte che le imprese possono seguire per approdare a quei porti.
Ad esempio, lo standard UNI ISO 45001 imposta un’importante linea guida sui sistemi di gestione per la salute e sicurezza sul lavoro; invece, lo standard tecnico UNI ISO 45003 si concentra proprio sulla salute e sicurezza psicologica sui luoghi di lavoro, redatto nel 2021 a sostegno della richiesta emergente su questi temi.
Per gestire il benessere nella propria organizzazione, occorre prima misurarlo per comprendere quali margini ci sono e su quali criticità bisogna intervenire. Solo successivamente si possono adottare interventi mirati.
È possibile condensare le tecniche di misurazione del benessere in azienda in due macro-aree: le tecniche di misurazione oggettiva e soggettiva.
Quelle oggettive raccolgono dati come misurazioni fisiologiche (e.g., livello del cortisolo, pressione sanguigna, analisi cardiocircolatorie) o parametri fisici (e.g., illuminazione, qualità dell’aria, inquinanti chimici, livello di rumore ambientale).
Le tecniche di misurazione oggettiva tipicamente vengono effettuate da figure competenti quali ad esempio il medico del lavoro in grado di effettuare analisi accurate sui dipendenti e contestualizzare i risultati nell’ambiente di lavoro frequentato.
Diversamente, le tecniche di misurazione soggettiva si basano su questionari, interviste o focus group che permettono di delineare un quadro complessivo che può essere letto e interpretato da figure specializzate come gli psicologi del lavoro.
Un esempio di questionario può essere quello di Avallone e Paplomatas sulla salute organizzativa MOHQ (Multidimensional Organizational Health Questionnaire).
Una volta misurato il benessere organizzativo, è possibile intervenire in modo mirato nei modi più svariati a seconda delle dimensioni, del settore e dei problemi evidenziati. Gli interventi possono andare da semplici informative (quali newsletter periodiche e ben congegnate verso i propri dipendenti) atte a normalizzare il benessere psicologico in azienda, così come benefit ben studiati nell’ottica di una efficace politica di welfare aziendale fino alla messa a disposizione di veri e propri supporti psicologici interni o esterni al luogo di lavoro.
Per divenire imprese virtuose nella tutela del benessere psicologico in azienda è necessario che questo venga integrato nel proprio assetto organizzativo. Alcune pratiche che potrebbero essere seguite sono: concedere flessibilità (nei luoghi e negli orari di lavoro), curare l’ambiente dove si lavora affinché sia disteso e stimoli creatività e produttività, favorire l’integrazione e l’accettazione delle diversità, formare e stimolare il team a formarsi nelle hard e soft skills, valorizzare i risultati ottenuti. Non è un caso che moltissime grandi corporate, come ad esempio Google, investano ingenti risorse in programmi di welfare aziendale e wellness, ad esempio garantendo servizi utili ai dipendenti on-site, come dottori, palestre, barbieri e molto altro.
Non è mai facile fare previsioni, ma è ragionevole pensare che il benessere psicologico in azienda sarà un elemento fondamentale nelle aziende del domani.
Lo dimostrano le nuove job positions come Chief Mental Health Officer o Chief Happiness Officer.
Un ruolo importante sarà dato anche dalle tecnologie emergenti: sensori indossabili sempre meno ingombranti, intelligenza artificiale (generativa e non), realtà aumentata, virtuale e mista . Ciascuna di queste tecnologie può contribuire significativamente ad aiutare i lavoratori nella gestione del proprio benessere psicologico: ad esempio, i sensori indossabili insieme ad algoritmi di intelligenza artificiale possono rilevare precocemente stati di malessere o pattern nascosti ed intervenire per tempo al fine di prevenire danni come il burnout. Realtà aumentata, virtuale e mista vengono già oggi adottate per elevare ad un nuovo livello la formazione professionale, rendendola più coinvolgente e sicura.
Per concludere, il benessere aziendale non è più un plus, ma per alcuni aspetti legge, per molti altri imprescindibile necessità se si vuole trattenere o attrarre risorse di qualità per la crescita dell’impresa. Nel futuro saranno sempre più comuni prodotti e servizi efficaci che aiutino i dirigenti e preposti ad individuare, misurare e intervenire sulle insidie al benessere psicologico nella propria organizzazione.
Un business sostenibile sarà anche un’azienda che incorpora il benessere psicologico nel suo assetto organizzativo. Perché le aziende sono prima di tutto fatte di persone e le persone, ormai, pretendono prima di tutto salute non solo fisica, ma anche mentale e sociale.
LINK UTILI
© 2023 Feel-ING – All Rights Reserved
Web Agency • Carbonara Agency London
Web Agency • Carbonara Agency London
© 2023 Feel-ING – All Rights Reserved
Web Agency • Carbonara Agency London
Web Agency • Carbonara Agency London