Affective Computing come evoluzione delle interfacce uomo-macchina

AFFECTIVE COMPUTING COME EVOLUZIONE DELLE INTERFACCE UOMO-MACCHINA

Con il progredire della tecnologia, il modo di interagire con quest’ultima si è evoluto in maniera sorprendente. Dalle prime interfacce, complesse e inaccessibili, siamo passati alla rivoluzione delle GUIs (Graphical User Interfaces), caratterizzate da icone cliccabili e comandi semplici. Oggi, l’intelligenza artificiale sta trasformando ulteriormente le interfacce attraverso il riconoscimento di gesti, dal multi-touch screen alle hand gestures, fino alla voce, con le ultime novità di GPT-4o.

Ci aspettiamo un ulteriore passo avanti?

È difficile immaginare un arresto nella progressione delle interfacce uomo-macchina e ancor più difficile fare previsioni certe sulle prossime innovazioni. Tuttavia, in questo appuntamento mensile, esploriamo una disciplina che potrebbe rappresentare una delle prossime frontiere: l’Affective Computing.

Questa disciplina, in crescita grazie alla ricerca e alle innovazioni portate dai nuovi modelli di intelligenza artificiale, potrebbe rivoluzionare il mondo delle interfacce uomo-macchina riducendo l’attrito naturale tra questi due sistemi molto diversi. Mentre i sistemi hardware e software sono tendenzialmente non mutevoli e dai comportamenti prevedibili, l’uomo vive di emozioni diverse ogni giorno, evidenziando la necessità di un’adattabilità delle macchine con cui interagisce. 

L’Affective Computing si occupa proprio di questo: catturare, interpretare e tradurre uno stato emotivo in un’informazione che un sistema informatico o una macchina possa elaborare a vari scopi.

Come possiamo sfruttare l’Affective Computing in vari settori?

L’Affective Computing non è una disciplina di nicchia. Diversi settori e progetti imprenditoriali possono beneficiarne:

  • Education: Personalizzare l’apprendimento in base alle emozioni degli studenti, identificando quando sono confusi o disinteressati.
  • Customer Service: Potenziare le interazioni con i clienti attraverso chatbot e assistenti virtuali che comprendono e rispondono alle emozioni umane.
  • Marketing: Creare campagne più efficaci analizzando le reazioni emotive dei consumatori ai vari contenuti.
  • Automotive: Sviluppare veicoli intelligenti che possono monitorare l’attenzione e le emozioni del conducente per migliorare la sicurezza stradale.
  • Wellbeing aziendale: Monitorare stati di stress o di attenzione sul lavoro per ridurre o prevenire l’incidenza di burnout.

A seconda del risultato desiderato, l’Affective Computing può richiedere uno sforzo implementativo più o meno significativo. Infatti, l’applicazione dell’Affective Computing può variare a seconda del contesto: ad esempio, mentre nel campo dell’education è richiesto un monitoraggio continuo e accurato delle emozioni degli studenti, in altri settori come il marketing ci si può concentrare su momenti specifici dell’interazione. Ma come possiamo misurare effettivamente queste emozioni in modo affidabile?

Come si misurano le emozioni?

Misurare un’emozione è complesso, ma con strumentazioni (come dispositivi indossabili) e metodi robusti, in determinati contesti, è possibile. Una premessa fondamentale è la definizione di una specifica emozione, spesso espressa utilizzando due variabili: arousal e valence. L’arousal rappresenta l’intensità dell’emozione, mentre la valence indica la natura positiva o negativa dell’emozione.

Queste due dimensioni possono essere rappresentate su un piano 2D, dove ogni emozione è identificata da un punto specifico su tale piano. Dato questo legame, strumenti che rilevano arousal e valence in tempo reale possono stimare lo stato emotivo di una persona. I marcatori fisiologici, come l’aumento del battito cardiaco, della sudorazione periferica o il fiato corto, insieme a marcatori comportamentali, come tremori o sguardi circospetti, vengono raccolti e analizzati da algoritmi complessi per inferire uno stato emotivo.

Sistema di rilevazione dello stress: un esempio virtuoso

Un esempio di come l’Affective Computing può fare la differenza è riportato in questo articolo. Alcuni dei nostri soci fondatori, che lavorano quotidianamente in questa disciplina, hanno dimostrato la possibilità di costruire un sistema di rilevazione di vari livelli di stress con un’accuratezza del 75%, basandosi principalmente sull’attività elettrodermica (sudorazione periferica).

Questo sistema può essere utilizzato per aiutare chi ha problemi a gestire lo stress, permettendo di allenarsi autonomamente e migliorare la propria introspezione. Inoltre, può integrarsi con altri sistemi, come scenari di realtà virtuale, per adattare in tempo reale l’interfaccia in base allo stress del soggetto. Pensate anche a un sistema di sicurezza che ci avvisi quando un periodo eccessivamente stressante diventa pericoloso per la nostra salute, come potrebbe accadere durante una fase particolarmente difficile al lavoro.

Conclusioni

L’Affective Computing rappresenta una frontiera promettente nell’evoluzione delle interfacce uomo-macchina. La capacità di comprendere e rispondere alle emozioni umane può migliorare significativamente l’interazione con la tecnologia in molti settori.

Noi di Feel-ING continuiamo a esplorare e innovare nel campo dell’Affective Computing. Siamo pronti a sviluppare soluzioni che rendano le interazioni con le macchine sempre più naturali e intuitive. Scoprite come possiamo aiutarvi a trasformare le vostre idee in realtà!

Feel-ING is a new start-up specialized in developing and implementing innovative Information and Communication Technology solutions for the optimization of the psychophysical performance and the promotion of wellbeing and mental health.

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SINTOMI, CAUSE E RIMEDI DELLA SINDROME DA “STRESS DA RIENTRO”

SINTOMI, CAUSE E RIMEDI DELLA SINDROME DA “STRESS DA RIENTRO”

Sei rientrato a lavoro e dopo le meritate ferie natalizie ti sembra incredibilmente dura ricominciare la tua routine? Esiste un nome a questa condizione e potresti non essere l’unico a provarla: stai vivendo il post-vacation blues

Noto anche come sindrome da “stress da rientro”, il post-vacation blues indica un generale stato depressivo che si può osservare al rientro da una vacanza più o meno lunga. Infatti, questa condizione è maggiormente presente sia nei lavoratori che negli studenti al rientro dalle vacanze estive e dalle festività di fine anno.

Nonostante il post-vacation blues non sia riconosciuto clinicamente come un disturbo dal manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-V), esso può risultare comunque rilevante in termini emotivi e quindi compromettere parzialmente le nostre prime giornate di rientro a lavoro. Ma niente paura! Si tratta di una condizione transitoria e facilmente curabile; per questo motivo conoscerne i sintomi, le cause e i rimedi efficaci può essere d’aiuto per te e le persone con cui lavori.

Quali sono i sintomi del post-vacation blues?

Pur non essendo clinicamente rilevante, questo disturbo può condividere con la depressione e l’ansia alcuni tipici sintomi mentali e fisici. 

Tra i primi si possono elencare: 

  • apatia o appiattimento delle emozioni
  • sensazione di stordimento
  • difficoltà di concentrazione
  • mancanza di iniziativa
  • irritabilità
  • demoralizzazione
  • tristezza
  • sbalzi d’umore
  • senso di vuoto

Per quanto riguarda possibili sintomi fisici annoveriamo:

  • spossatezza
  • dolori o tensione muscolare
  • affaticamento (non giustificato da un’intensa attività fisica o altre attività correlate)
  • cefalee
  • ridotta qualità del sonno o insonnia
  • problemi di digestione

Non ti allarmare eccessivamente se percepisci uno o più di questi sintomi per qualche giorno fino a circa un paio di settimane dal rientro alla quotidianità lavorativa, in quanto è la durata tipica di questo disturbo. Se dovessero perdurare oltre, ti suggeriamo di valutare con la adeguata serietà se sia il caso o meno di consultare uno specialista.

Quali sono le cause del post-vacation blues?

La causa principale di questo disturbo risulta intuitiva: si tratta del cambiamento repentino da uno stile di vita rilassato, tipico delle ferie, ad uno significativamente più intenso in termini di energie mentali e/o fisiche come quello richiesto dalle attività lavorative. Tutto ciò può generare in un lavoratore uno stato depressivo caratterizzato da alcuni dei sintomi sopracitati. 

In alcuni casi, questo cambiamento può essere accentuato da condizioni particolari come ad esempio il rientro da un viaggio in un Paese estero o da una settimana bianca, entrambe esperienze caratterizzate potenzialmente da una cultura e da uno stile di vita decisamente lontano da quello lavorativo. In aggiunta, eventuali cause fisiche (scottature, infezioni, punture o morsi di insetti, alimentazione non regolare ed eccessivo consumo di bevande alcoliche) possono aggravare ulteriormente la condizione. Ad aggiungersi c’è l’aggravante di rientrare in un luogo di lavoro o di studio che già prima non era piacevolmente vissuto.

Questo non significa che in futuro dovremo rinunciare a programmare le vacanze in ottica di ridurre gli effetti di un inevitabile post-vacation blues perché è stato scientificamente dimostrato come le vacanze siano, nella maggior parte delle condizioni, un generatore efficace di effetti positivi anche a lungo termine.  Le vacanze attivano infatti nel nostro corpo e nella nostra mente meccanismi di difesa contro lo stress a lavoro sotto il piano fisiologico (maggiore capacità del nostro sistema nervoso autonomo di rispondere agli stressors), psicologico (aumento della sensazione di calma) e comportamentale (più produttività e minore sforzo nelle attività cognitive). 

Purtroppo, le vacanze producono i loro effetti positivi con maggiore efficacia in coloro che svolgono mansioni non significativamente stressanti. Infatti, qualora si subisca un sovraccarico di mansioni lavorative, specialmente prima e dopo le vacanze, le conseguenze negative dello stress possono “strabordare” nelle ferie (spillover effect), lasciando terreno fertile ad un probabile post-vacation blues che può evolversi in condizioni più gravi, come burnout o depressione.

Quali sono i rimedi al post-vacation blues?

Gli effetti negativi del post-vacation blues possono essere affrontati e superati con efficacia mediante rimedi preventivi o correttivi. 

Per prevenire o intervenire sui sintomi del disturbo potresti provare a: 

  • Riprendere gradualmente uno stile di vita più vicino alla tua routine lavorativa per un periodo transitorio di due o tre giorni tra la fine delle vacanze e il rientro al lavoro;
  • Riadattare il tuo ritmo sonno-veglia a quello della tua routine lavorativa;
  • Programmare momenti di svago e/o eventi sociali che ti consentano un approccio alla quotidianità lavorativa un po’ più rilassato;
  • Mantenere un atteggiamento positivo al lavoro così che in ufficio si respiri un ambiente quanto più possibile sereno;
  • Organizzare o riprendere delle regolari attività fisiche
  • Seguire tecniche di rilassamento, come la meditazione o pratiche di respirazione.
  • Dare un maggior peso alla cura del benessere personale seguendo attività ed hobby soggettivamente piacevoli (ad esempio, leggere un libro, andare a un concerto, dedicare tempo alla famiglia)

Nel caso in cui tu riconosca che le vacanze non abbiano sortito alcun effetto positivo sul tuo umore o sui tuoi comportamenti al rientro al lavoro e trovi difficoltà a risolvere la tua condizione mediante i suggerimenti riportati sopra od altri validi consigli, puoi considerare di parlarne con un tuo superiore per trovare insieme una soluzione. Ad esempio, laddove possibile, una riduzione temporanea del carico di lavoro una volta rientrato dalle vacanze potrebbe darti il tempo che ti serve per superare questa condizione. In ultima battuta, considera senza vergogna di parlarne con uno specialista della salute, come uno psicologo o uno psicoterapeuta, attraverso, se ti è possibile, soluzioni di welfare aziendali se previste dalla tua azienda. 

In questo articolo sono stati approfonditi i sintomi, le cause e i rimedi del post-vacation blues. Adesso che conosci più da vicino questo disturbo, potrai aiutare ora e in futuro te e i tuoi colleghi.
La consapevolezza e la prevenzione sono antidoti molto potenti per combattere disturbi come questo, ma è fondamentale non dimenticare mai di curare il tuo benessere mentale in ogni fase della tua attività lavorativa per rimanere protetto anche da disturbi meno “stagionali” come il burnout.

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ECCO PERCHÈ È IMPORTANTE INVESTIRE SUL BENESSERE PSICOLOGICO IN AZIENDA

ECCO PERCHÈ È IMPORTANTE INVESTIRE SUL BENESSERE PSICOLOGICO IN AZIENDA

Si attribuisce a Charles Darwin la celebre frase “il lavoro nobilita l’uomo”, interpretata da tanti come la convinzione che una professione non dovrebbe avere una funzione meramente produttiva, ma soprattutto morale.
Probabilmente l’avanzamento tecnologico ci ha fatto dimenticare la dimensione del lavoro che Darwin aveva idealizzato. 

Tuttavia, i tempi difficili che hanno caratterizzato gli ultimi anni tra crisi economiche e pandemiche, ci ha riportato a ridare importanza anche alla dimensione umana.
Tra l’inflazione che ha messo in ginocchio famiglie e imprese, il COVID-19 che ci ha costretto a trovare un nuovo equilibrio incastrandolo tra le mura di un appartamento, forse ci siamo ricordati che “il lavoro dovrebbe nobilitare l’uomo

In particolar modo i più giovani hanno iniziato a soppesare la dimensione del benessere fisico, mentale e sociale a lavoro.
Secondo il Mental Health at Work Report nel 2021 il 68% dei Millennials (50% nel 2019) e l’81% dei Gen Z (75% nel 2019) hanno lasciato il proprio posto di lavoro per ragioni legate al benessere mentale.
Secondo l’osservatorio annuale sul benessere psicologico nelle aziende italiane del 2023, nel nostro Paese più del 50% di chi lascia il proprio posto di lavoro, lo fa per ragioni legate al malessere psicologico.
A delineare un quadro sempre più chiaro è il Work Trend Index di Microsoft del 2022 rivelando che in Italia il 54% dei lavoratori sono più propensi a dare priorità alla salute e al benessere. Anche un breve sondaggio fatto alla nostra community LinkedIn indica la ferma decisione di non voler lasciare che il nostro lavoro “contamini” la nostra vita privata. Quello che succede in ufficio, deve rimanere in ufficio. 

Che cosa deve e può fare un’impresa in tema benessere sul lavoro in Italia?

La normativa principe in tema salute e sicurezza sul luogo di lavoro in Italia è il D. Lgs. 81/2008 (nota anche come “Testo Unico”) che definisce la “salute” come “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza di malattia o d’infermità”.
Obbligo non delegabile del datore di lavoro, secondo quanto recita l’articolo 17, è proprio la redazione di una valutazione dei rischi a tutela della salute dei lavoratori.
Anche se il Testo Unico dalla sua prima stesura non lo prevedeva esplicitamente, tra questi rischi è oggi presente anche il cosiddetto rischio da stress lavoro-correlato.
Viene dunque messa in luce una necessità di tutelare il lavoratore non più, come tradizionalmente è stato, solo sulla dimensione fisica della salute, ma anche su quella mentale e sociale.
Inoltre, i Responsabili del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP) devono obbligatoriamente formarsi anche a riconoscere e valutare i rischi da stress lavoro-correlato. 

Se le normative delineano in modo chiaro i porti che devono essere obbligatoriamente raggiunti, gli standard tecnici erogati da enti internazionali suggeriscono le rotte che le imprese possono seguire per approdare a quei porti. 
Ad esempio, lo standard UNI ISO 45001 imposta un’importante linea guida sui sistemi di gestione per la salute e sicurezza sul lavoro; invece, lo standard tecnico UNI ISO 45003 si concentra proprio sulla salute e sicurezza psicologica sui luoghi di lavoro, redatto nel 2021 a sostegno della richiesta emergente su questi temi. 

Ma quindi come si gestisce il benessere in azienda? 

Per gestire il benessere nella propria organizzazione, occorre prima misurarlo per comprendere quali margini ci sono e su quali criticità bisogna intervenire. Solo successivamente si possono adottare interventi mirati.
È possibile condensare le tecniche di misurazione del benessere in azienda in due macro-aree: le tecniche di misurazione oggettiva e soggettiva.

Quelle oggettive raccolgono dati come misurazioni fisiologiche (e.g., livello del cortisolo, pressione sanguigna, analisi cardiocircolatorie) o parametri fisici (e.g., illuminazione, qualità dell’aria, inquinanti chimici, livello di rumore ambientale). 
Le tecniche di misurazione oggettiva tipicamente vengono effettuate da figure competenti quali ad esempio il medico del lavoro in grado di effettuare analisi accurate sui dipendenti e contestualizzare i risultati nell’ambiente di lavoro frequentato.
Diversamente, le tecniche di misurazione soggettiva si basano su questionari, interviste o focus group che permettono di delineare un quadro complessivo che può essere letto e interpretato da figure specializzate come gli psicologi del lavoro
Un esempio di questionario può essere quello di Avallone e Paplomatas sulla salute organizzativa MOHQ (Multidimensional Organizational Health Questionnaire).

Una volta misurato il benessere organizzativo, è possibile intervenire in modo mirato nei modi più svariati a seconda delle dimensioni, del settore e dei problemi evidenziati. Gli interventi possono andare da semplici informative (quali newsletter periodiche e ben congegnate verso i propri dipendenti) atte a normalizzare il benessere psicologico in azienda, così come benefit ben studiati nell’ottica di una efficace politica di welfare aziendale fino alla messa a disposizione di veri e propri supporti psicologici interni o esterni al luogo di lavoro. 

Per divenire imprese virtuose nella tutela del benessere psicologico in azienda è necessario che questo venga integrato nel proprio assetto organizzativo. Alcune pratiche che potrebbero essere seguite sono: concedere flessibilità (nei luoghi e negli orari di lavoro), curare l’ambiente dove si lavora affinché sia disteso e stimoli creatività e produttività, favorire l’integrazione e l’accettazione delle diversità, formare e stimolare il team a formarsi nelle hard e soft skills, valorizzare i risultati ottenuti. Non è un caso che moltissime grandi corporate, come ad esempio Google, investano ingenti risorse in programmi di welfare aziendale e wellness, ad esempio garantendo servizi utili ai dipendenti on-site, come dottori, palestre, barbieri e molto altro.

Quali saranno i trend futuri in ambito benessere sul lavoro?

Non è mai facile fare previsioni, ma è ragionevole pensare che il benessere psicologico in azienda sarà un elemento fondamentale nelle aziende del domani.
Lo dimostrano le nuove job positions come Chief Mental Health Officer o Chief Happiness Officer
Un ruolo importante sarà dato anche dalle tecnologie emergenti: sensori indossabili sempre meno ingombranti, intelligenza artificiale (generativa e non), realtà aumentata, virtuale e mista . Ciascuna di queste tecnologie può contribuire significativamente ad aiutare i lavoratori nella gestione del proprio benessere psicologico: ad esempio, i sensori indossabili insieme ad algoritmi di intelligenza artificiale possono rilevare precocemente stati di malessere o pattern nascosti ed intervenire per tempo al fine di prevenire danni come il burnout. Realtà aumentata, virtuale e mista vengono già oggi adottate per elevare ad un nuovo livello la formazione professionale, rendendola più coinvolgente e sicura. 

Per concludere, il benessere aziendale non è più un plus, ma per alcuni aspetti legge, per molti altri imprescindibile necessità se si vuole trattenere o attrarre risorse di qualità per la crescita dell’impresa. Nel futuro saranno sempre più comuni prodotti e servizi efficaci che aiutino i dirigenti e preposti ad individuare, misurare e intervenire sulle insidie al benessere psicologico nella propria organizzazione.
Un business sostenibile sarà anche un’azienda che incorpora il benessere psicologico nel suo assetto organizzativo. Perché le aziende sono prima di tutto fatte di persone e le persone, ormai, pretendono prima di tutto salute non solo fisica, ma anche mentale e sociale.

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